31 gennaio 2009

Focaccine e pizzette morbide


Una ricetta semplice e veloce, per delle focaccine morbide e gustose, ideali per accompagnare salumi e formaggi nei buffet. Fantastiche anche quando si resta senza pane e non si ha molto tempo per la lievitazione.
Con lo stesso impasto si possono fare pizzettine morbide delicatissime.
Ricetta Bimby del ricettario di Nilla, ma adattabilissima a qualsiasi robot da cucina.
Stasera per cena davanti alla tv con un fresco Aperol Spritz...ogni tanto è consentito "trasgredire" anche a noi genitori!



Ingredienti:


300g. di farina 0
300g. di mozzarella
25g. di lievitodi birra
10g.di zucchero
10g. di sale fino




Nel Bimby: mettere tutti gli ingredienti nel boccale e impastare a vel.6 per uno o due minuti. Se occorre aggiungere un goccio di acqua o farina (dipende dalla consistenza della mozzarella). L'impasto deve risultare morbido ma non appiccicoso.
Nel Ken: sciogliere il lievito con lo zucchero in un goccio di acqua, aggiungere la farina e la mozzarella tritata fina fina precedentemente, per ultimo il sale. Se occorre aggiungere ancora un goccio di acqua o farina.
Dall'impasto staccare dei piccoli pezzi, formare delle palline, schiacciarle col palmo della mano, disporle su carta forno e lasciare riposare coperto un'ora. Infornare quindi a 180° per 15/20 minuti. Se piace, prima di infornare pennellarle velocemente con del latte e cospargerle con semini: sesamo, papavero, lino, girasole, finocchio, cumino a scelta.
Per le pizzette: tirare la pasta a 1cm. di spessore, ritagliare le pizzette con un coppapasta, disporle su carta forno e lasciare lievitare un'ora coperte. Poi mettere su ognuna un cucchiaino di salsa di pomodoro condita con un filo di olio.origano e sale e cuocere a 180° per 10/15 minuti.



Con questa ricetta partecipo alla "Raccolta Buffet" di Anicestellato


Pane al formaggio e pere - BBD # 16

Eccoci arrivati al nuovo appuntamento mensile per gli appassionati della panificazione come me...questa volta ospiti di High on the Hog che ha scelto come tema per questo BBD # 16 il pane con formaggio. E non potevo non rispolverare questa bellissima ricetta imparata dalle abili mani delle mitiche sorelle Simili, mie muse ispiratrici, mie maestre di panificazione... e non solo!
E' un pane molto semplice da realizzare: si consigliano le pere Williams perchè sono le più profumate, meglio anche che non siano troppo mature altrimenti si potrebbero sciogliere in cottura. In mancanza di stracchino si può variare con robiola, taleggio o quartirolo.
E mi raccomando..."al contadino non fate sapere quant'è buono il cacio con le pere!"



Biga:
200g. di farina
100g. di acqua
1g. di lievito di birra

Impastare bene tutti gli ingredienti finchè ben amalgamati, mettere in una ciotola non unta e lasciare riposare 18/20 ore.

Impasto:
320g. di farina 0
160g. di acqua
10g. di sale
5g. di zucchero
15g. di lievito di birra
150g. di pere Williams, sbucciate e tagliate a piccoli pezzi
80g. di stracchino

Fare la fontana, mettere al centro la biga, il lievito e lo zucchero, sbriciolarli bene con l'acqua, prendere un po' di farina, unire il sale e lo stracchino, prendere tutta la farina, iniziare a impastare unendo verso la fine anche le pere (leggermente infarinate).
Nel Ken: mettere l'acqua, il lievito e lo zucchero e amalgamare, unire poi la farina e inziare a impastare a vel.2 aggiungendo il sale e lo stracchino a pezzi.Quando ben amalgamato trasferire sulla spianatoia e aggiungere le pere.
Far riposare l'impasto in ciotola unta e coperto per mezzora.
Dividere poi la pasta in palline da circa 100g cadauna (10/11 pezzi) e far riposare 15 minuti.
Con una spatola inciderle con una forma a croce con 4 incisioni equidistanti senza raggiungere il centro. Metterle sulla teglia ricoperta di carta forno e lasciar lievitare coperte per circa un'oretta.
Infornare a 220°per 8 minuti quindi abbassare a 200° per altri 12/15 minuti.

Pear and Cheese Buns

Here we are! BBD is back again, this month hosted by High on the Hog who invited us to bake some bread with cheese. I did once again for this special occasion one of my favourite Sister Simili's recipe. I often bake them when I have friends at my table, they are nice to see and delicious to eat.
Very easy to make: Williams pears are the best because most flavoured, better use them not so ripe otherwise they could melt while cooking. If you don't find stracchino, you can use any other soft cows milk cheese.
And in Italy we say: "...don't ever tell the farmer how good is cheese with pear!"

Biga:
200g plain flour
100g water
1g. yeast

Knead all ingredients together, let rest in a covered bowl for 18/20 hours.

Dough:
320g. plain flour
160g. water
10g. salt
5g. sugar
15g. yeast
150g. Williams pears, peeled and finely chopped
80g. stracchino cheese*

*other information about stracchino here

Melt yeast, biga and sugar with water, add a little flour and start kneading, add salt and stracchino and amalgamate very weel, adding pears (slightly floured) at last. Let the dough rest in oiled covered bowl for about one hour.
Divide the dough in 10/11 little balls (about 100g each) and let them rest 15 minutes.
With a spatula make 4 equidistant cuts like a cross, never reaching the centre. Put them on baking tray (covered with baking paper) and let rest for about one hour.
Bake then at 220° for 8 minutes, low at 200° for 12/15 minutes.


30 gennaio 2009

La posta della Olga


"Obama ha brindato anche col torbolìn dell'oste Oreste?"

«C’è un sacco di gente che si fa pubblicità a ufo sfruttando l’elezione di Obama» scrive la Olga. «Il ragionier Dolimàn, in una conferenza al volo tenuta al baretto davanti alle sole gemelle zitelle Alda e Elda Strapuntìn perché tutti gli altri avventori, meno il mio Gino che era a casa ad aiutarmi a fare le frìtole, non avevano che òci, e réce, per la Beresina che lucidava con indolente malizia le stecche del biliardo indugiando sulla ponta (insomma dava spettacolo), il ragionier Dolimàn, dicevo, ha elencato tutti i vini italiani, in gran parte veneti, con cui Obama, secondo quanto riportato dai nostri giornali, avrebbe brindato e pranzato sia il giorno della vittoria elettorale che quello dell’insediamento alla Casa Bianca, sostenendo che, se fosse andata veramente così, il presidente, nell’una e nell’altra occasione, avrebbe preso una ciùca tale che i suoi discorsi ufficiali, compreso il giuramento, dovrebbero essere ripetuti in regime di sobrietà per essere credibili».
«Dunque Obama avrebbe brindato col prosecco di un produttore di Legnago, col prosecco di una cantina di Gambellara, con lo spumante di Valdobbiadene e con lo spumante di verdicchio di un’azienda marchigiana. Avrebbe poi pasteggiato con due vini rossi della stessa azienda vicentina che ha fornito il prosecco, col chianti di Rufina, col nipozzano dei marchesi de’ Frescobaldi e con un rosso piemontese. Inoltre avrebbe bevuto un’acqua minerale veneta, avrebbe calzato scarpe dell’artigiano di Novara Andrea Stefanelli (fotografato su quasi tutti i giornali) e avrebbe mangiato risi e bisi, bìgoli con le sardèle e baccalà alla vicentina cucinati dal cuoco italo-americano Tony Mantuano e alla fine avrebbe esclamato "Ostia come go magnà ben e beùo meio!". Insomma se sei quello che mangi e bevi, come dice una pubblicità televisiva, Obama è dei nostri».
«Poi però il ragionier Dolimàn ha saputo dall’amico Ermes detto Cicàgo, che i vini che beve Obama sono scelti dal capo del Wine Market Council e che sono tutti rigorosamente americani perché il presidente degli Stati Uniti el sarìa proprio un mona, coi tempi che core, a farghe publicità ai vini (e ànca alle aque) foresti. Ci aveva provato, ma lo abbiamo saputo solo adesso, anche l’oste Oreste, spedendo alla Casa Bianca una damigiana de Torbolìn Gran Riserva 1998 con le bollicine ma nessun giornale ha scritto che Obama ci ha brindato e lo stesso Oreste non si era mai fatto illusioni in merito anche se gli era parso di aver visto in tivù la damigiana in un cantòn dello studio ovale».
di Silvino Gonzato, dall'Arena del 27.01.2009

28 gennaio 2009

Brezel o Pretzel - Germania

Grüß Gott, Willkommen in Deutschland!

This week Joan's trip stops in Germany. Her "Culinary Tour Around the World" is still travelling in Europe, supporting with enthusiasm BloggerAid.
I feel at ease this time (even though I don't speak a word in this language) because Garda Lake is one of the favourite holiday resort for German: they are very fond of our landscape, they can reach us in a short time (only 4 hours driving from Bavaria), they love our weather (sunnier and hotter than at home), some of them bought beautiful houses and properties and have their first residence here. Lidl Supermarkets has grown as ever here, our foodshops have introduced on their shelves typical German products. Some bakeries sell now different kind of German breads, made with every sort of flours and every kind of seed. And as I love bread in all his expression and most I like to bake it at home, I couldn't resist to try some, and once again Brezel, from Antonella's recipe...and reading more about them on Wikipedia (if you have a little time take a glance, it's very interesting!), I learned their origin might be both Italian and German...so...another link between our peoples!

And last but not least...my great-grandparents were Austrian...so I still feel some drops of Saxon blood in my veins!


You need:

500g plain flour
250g warm water
30g soft butter
2 teaspoon salt
1 teaaspoon sugar
25g yeast
kitchen salt (I used fleur de sel)

3 litres water and 100g baking soda (b.soda always 3% of total water)*

Melt yeast and sugar in warm water, add flour and begin to knead, add salt at last. When well kneaded, leave to rest for 20 minutes, then add soft butter and knead until smooth and tender. Let the dough rest (covered in a bowl) for about one hour in warm place. Cut the dough in 8 pieces, roll each in a rope of about 50/60cm. under palms of hands, larger in the middle, then shape the bretzel as shown in the picture: twist the sides making a knot in the middle and stick them on the largest part of the bretzel helping with a drop of water. Leave them on a baking tray (covered with baking paper) for 20 minutes, then in the fridge for an hour.
In a big pan get water to boil, add baking soda very carefully little by little because water will be bubbling immediately (and it is very very hot!). Pour one brezel at a time in boiling water just for 30 seconds (stopwatch in hand!), strain it on a cloth then put all together on a baking tray (always with baking paper). Make a horizontal cut in the largest part of the brezels, spread some salt on each and bake them at 200° for 20 minutes.

* the original solution is made with water and NaOH (caustic soda) that gives the perfect taste and the right colour (at the same percentage, Antonella explain very well how to do it), some bakeries still do that, but I prefer
b.soda, easier and no toxic at all for dometisc use.

Last Sunday we had a German lunch: brezels, sausages and cabbage salad ...only beer was missing on our table!


Au revoir en France la semaine prochaine!



Mi piace il pane, di tutte le forme e di tutti i sapori. Mi piace tanto farlo e metterlo in tavola caldo e fumante, assaporando il suo profumo intenso. Domenica avevo fatto salsicce e insalata di cavolo cappuccio e con la scusa della ricetta tedesca per il "Tour Culinario Intorno al Mondo" di Joan ho rifatto i Brezel, questa volta seguendo la ricetta di Antonella.

Ingredienti:

500g di farina
250g di acqua tiepida
30gdi burro morbido
2 cucchiaini di sale fino
1 cucchiaino di zucchero
25g di lievito fresco
sale grosso (io uso il fleur de sel)

3 litri di acqua e 100g di bicarbonato (quest'ultimo sempre nella misura del 3% sul totale dell'acqua)*

Sciogliere il lievito con lo zucchero nell'acqua, iniziare a impastare con la farina aggiungendo il sale per ultimo. Lavorare bene poi coprire e lasciare riposare 20 minuti. Riprendere l'impasto, aggiungere il burro morbido e impastare finchè ben amalgamato e liscio. Mettere in una ciotola leggermente unta e lasciar riposare coperto per circa un'ora. Tagliare poi l'impasto in 8 pezzi e formare i brezel: fare un filone di circa 50/60cm. schiacciando con i palmi delle mani e lasciando la parte centrale più spessa, intrecciare le parti laterali verso il centro e chiudere sigillandole sulla parte spessa aiutandosi con un goccio di acqua. Far riposare su carta forno per 20 minuti, quindi in frigo per un'ora. Nel frattempo portare l'acqua a ebollizione e aggiungere il bicarbonato poco per volta e con cautela, perchè gonfierà all'istante. Tuffare i brezel uno per volta, lasciarli cuocere 30 secondi, quindi scolarli bene su un canovaccio. Rimetterli su carta forno, praticare un'incisione orizzontale sulla parte più spessa, cospargere di sale grosso e infornare a 200°per 20 minuti.

* la soluzione originale è fatta con acqua e NaOH (soda caustica) che riesce a dare il caratteristico colore e sapore (stessa percentuale, Antonella lo spiega molto bene nel suo post), alcune panetterie ancora fanno così; per un uso casalingo "tranquillo" io preferisco il bicarbonato, più semplice da usare e meno tossico.

Da Wikipedia qualche nozione in più:

Si racconta che sia il cibo da merenda più antico del mondo. Si dice che nei monasteri del sud della Francia e del nord Italia, intorno al 610 i monaci facessero con i resti dell'impasto delle striscioline che ricordavano le braccia di un bambino incrociate a mo' di preghiera. I tre buchi che si formavano, rappresentavano la santa trinità. I monaci davano i Brezel come premio ai fanciulli che imparavano a memoria versi e preghiere della Bibbia. Furono chiamati per tal motivo pretiola, ovvero ricompensa, e poi italianizzati come brachiola. In seguito, grazie ai misteri che riguardano le trasmigrazioni dei cibi, i pretiola attraversarono le Alpi e in Germania divennero conosciuti come Brezel o Pretzel. Prima consumati mezzi crudi, divennero tostati grazie a un fornaio che si addormentò sul posto di lavoro. Ritratti in un libro di preghiere, si dice che fossero augurio di fortuna, prosperità e completezza spirituale. Divennero anche cibo pasquale, in Germania nel 1450. La leggenda racconta che i brezel arrivarono nel nuovo mondo sul Mayflower; è certo comunque che i brezel arrivarono in America nel 1710, grazie ai tedeschi.

25 gennaio 2009

Insalata di cavolo cappuccio - WHB # 167

Un contorno semplicissimo, che mi piace molto...in Trentino Alto Adige non manca mai nei ristoranti e nei buffet degli alberghi, è un classico evergreen!
Ingrediente essenziale è il cumino, che gli da quel particolare sapore inconfondibile.
Perfetta accompagnata dai mitici Brezel.



Ingredienti:

cavolo cappuccio
olio extravergine di oliva
aceto di mele
semi di cumino tedesco
sale/pepe


Togliere le foglie esterne del cavolo e il torsolo interno. Affettarlo molto finemente, meglio con affettatrice.
Fare un'emulsione con olio, sale, pepe e aceto, aggiungere i semi di cumino e condire il cavolo.
Lasciare riposare almeno un paio di ore prima di servire in modo che si amalgamino bene i sapori e il cavolo rilasci un po' dels uo umore formando un bel sughino morbido.
Si può usare sia cavolo bianco che rosso.
Per un gusto più deciso, tagliare della pancetta o dello speck a dadini, rosolarli nell'olio, sfumarli con aceto di mele e versarli ancora caldi sul cavolo condito.


Questa ricetta partecipa alla raccolta per il Trentino-Alto Adige dell'Abbecedario Culinario (organizzato dall'intraprendente Trattoria MuVarA).


 


Il cumino (Cuminum cyminum) e il Carvi (Carum Carvi) sono due piante molto simili, appartengono alla stessa famiglia (Apiaceae o Ombrellifere) e sono spesso confuse fra loro, anche se i loro semi (che sarebbero i frutti) sono diversi e con aroma differente.
Il cumino è una pianta del bacino del Mediterraneo, i suoi semi sono simili a quelli del finocchio (anche se più piccoli e scuri) ma più grandi di quelli del carvi, con un gusto più piccante. E' molto utilizzato nella cucina indiana e marocchina, nei piatti a base di carne e nei farinacei, nella preparazione del curry e in moltissime miscele di spezie, come il garam masala o il tandoori masala.
La confusione nasce anche dall'uso erroneo (in molte lingue) dello stesso nome "cumino" per entrambi i semi.
I semi del carvi hanno un sapore prevalentemente di anice con un leggero aroma di limone. Nel nord Europa il carvi, detto anche cumino tedesco, si utilizza per preparare dolci, pani e liquori come il tipico Kümmel; nell'est europeo è utilizzato per preparare il gulash. Si usa anche per aromatizzare particolari formaggi.
Sono note anche le sue virtù terapeutiche: ottimo per combattere disturbi digestivi, meteorismo, flautolenza, coliche, tosse. Il cumino favorisce l'assimilazione del cibo per cui è molto indicato in casi di carenza alimentare e debolezza.

Infuso :
15gr di semi schiacciati in una tazza d'acqua, lasciando in infusione per 15 minuti. Berne due tazze al giorno per combattere la flautolenza, o 3 in caso di tosse.

Tisana digestiva:
8gr di semi di cumino
8gr di finocchio
8gr di menta
Lasciare in infusione in una tazza d'acqua per 10 minuti. Consumare la tisana 2 volte al giorno.




Questa ricetta partecipa al WHB # 167 ospitato da Chris from Mele Cotte
This recipe participates to WHB # 167 hosted by Chris from Mele Cotte
Thanks again to Haalo who manages greatfully all events,
Thanks again to Kalyn for her successfull idea!


Cabbage Salad

A lovely cabbage salad, very common in Alto Adige (SuedTirol), you will always find it in all restaurants. Very easy to do, with a special unique taste due to the use of caraway seeds.
Gorgeous with typical Brezels!


You need:

cabbage
extravirgin olive oil
apple's vinegar
caraway seeds
salt/pepper


Peel off external leaves and stalk from cabbage. Slice it finely (electric slicer would be perfect!).
Make an emulsion with oil, vinegar, salt and pepper and then add caraway seeds. Pour onto the cabbage, mix well and let it rest for about two hours before serving: cabbage will get softer making a delightful clear sauce.
You can use either green or purple cabbage.
For more taste: cut some bacon in small squares, fry them in oil, wet with some vinegar and spread still warm all over cabbage.




Cumin (Cuminum cyminum) and Caraway (carum carvi) are very similar, they belong to the same family (Apiaceae) and they are often confused, but their seeds (fruits indeed) are different and with different taste.
Cumin is a plant growing in Mediterranean areas, its seeds are similar to fennel (but smaller and darker) but larger than Carvi and with a hotter taste.
Very used in Indian and Moroccan Kitchen, especially formeat, for curry and in numerous spice mixing like garam masala or tandoori masala.
The misunderstanding between these two spices comes from a wrong use in many languages of the term "cumin" for both seeds.
Carvi seeds has an anise-like flavour with a shadow of lemon.
In Northern Europe is called also German Cumin and it is used largely in bakery for breads and pastries and liqueurs like Kümmel. In Eastern Europe it is used for goulash. It is used also to flavour special cheese.
They are also known to its therapeutic properties: excellent against digestive disorders, meteorism, colics, cough. The cumin promotes assimilation of food that is well suited in cases of food shortages and weakness.
Infused tea:
15 grams of crushed seeds in a cup of water, leaving it to brew for 15 minutes. Drink two cups a day against meteorism, or 3 in case of cough.
Herbal tea digestive:
8 gr caraway seeds
8gr fennel seeds
8gr mint
Leave to brew a cup of water for 10 minutes. Drink herbal tea twice a day.

Round up # 167

Tutti uniti in BloggerAid!


Visit BloggerAid

BloggerAid è un Social Network nato il 6 dicembre 2008 dalla volontà esplicita di tre food blogger:


che si sono unite per dare vita a questa comunità virtuale unita e determinata nella sensibilizzazione di una grande piaga che ancora affligge gran parte del mondo: la fame.
Proprio l'amore per il cibo che tanto unisce nella grande comunità blogghista può essere la spinta per farci uscire dal nostro mondo ed aiutare quelli meno fortunati di noi: queste le parole testuali nella homepage di Val, Ivy e Giz.
Chiunque può iscriversi liberamente, la comunità è in continua crescita, e dare così il suo piccolo grande contributo con idee, suggerimenti, proposte e iniziative.

La prima grande iniziativa in corso per raccolta fondi è la pubblicazione di una grand libro di ricette. Questo libro verrà pubblicato in autunno e messo in vendita su Amazon. La raccolta di ricette è a partecipazione libera, senza la necessità di essere iscritti a BloggerAid.
E' una grande opportunità offerta a tuttiper tutti per poter vedere una delle proprie ricette pubblicata e finalizzata per una giusta causa.
L'intero ricavato sarà devoluto al World Food Programme (agenzia umanitaria di spicco delle Nazioni Unite) che lo indirizzerà verso i bisogni più urgenti.
Le regole per partecipare sono qui, e la ricetta deve pervenire entro il 31 marzo. La cosa più importante è partecipare con una ricetta nuova che non andrà pubblicata sul blog fino all'uscita del libro, anche se se ne potrà parlare e postarne la foto, senza però rivelarne ingredienti e procedimento.

Un altro evento in corso è il "Culinary Tour Around the World" di Joan, che settimanalmente ci porta a visitare località diverse attraverso la loro storia e la loro cucina. Le regole per partecipare qui.


Forza amici bloggers, ogni piccolo contributo può fare la differenza!

22 gennaio 2009

Un gran bel discorso

Copio/incollo il discorso inaugurale di Barak Obama come 44° Presidente degli Stati Uniti d’America per averlo sempre sottomano e rileggerlo in futuro, allo spegnersi dell'enfasi delle celebrazioni e della festa, nella speranza che possa essere sempre un motivo di riferimento per tutti i popoli, che possa finalmente gettare le basi per un sano cambiamento di pensiero politico, non più sospinto solo da interessi, corruzioni e velleità personali, ma che viva e respiri di sano coraggio, lealtà, rispetto, comprensione.


Washington, 20 gennaio 2009

Miei concittadini,
Sono qui oggi pieno di umiltà di fronte al compito che abbiamo di fronte, grato per la fiducia che mi avete dimostrato, conscio dei sacrifici compiuti dai nostri antenati. Ringrazio il presidente Bush per il suo servizio alla nostra nazione, come anche per la generosità e la cooperazione che ha dimostrato in questo periodo di transizione.

Quarantaquattro americani adesso hanno pronunciato il giuramento presidenziale, parole che sono state dette in tempi di prosperità e nelle acque tranquille della pace. Ma ogni tanto il giuramento è pronunciato in mezzo a nuvole che si addensano e a temporali furiosi. In questi momenti, l’America è andata avanti non solo grazie alla abilità e alla lungimiranza di chi la guidava ma perchè ‘Noi, il popolo’, siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri antenati, e fedeli ai nostri documenti fondatori.

Così è stato. Così deve essere in questa generazione di americani. Che siamo nel mezzo di una crisi ormai è stato ben capito. Il nostro Paese è in guerra, contro una rete dai lunghi tentacoli di violenza e di odio. La nostra economia è gravemente indebolita, conseguenza della rapacità e della irresponsabilità di alcuni, ma anche della nostra collettiva incapacità di fare scelte difficili e preparare il paese per una nuova era. Alcuni hanno perso la casa, altri il lavoro, imprese sono fallite. Il nostro sistema sanitario è troppo costoso, le nostre scuole non funzionano per troppi, e ogni giorno ci porta altre prove che il modo in cui usiamo l’energia rafforza i nostri avversari e minaccia il nostro pianeta.

Questi sono gli indicatori della crisi, misurabili con le cifre e le statistiche. Meno misurabile ma non meno profonda è la perdita di fiducia in tutta la nostra terra, l’insistente timore che il declino dell’America sia inevitabile, e che la nuova generazione dovrà abbassare le sue mire.

Oggi vi dico che le sfide che affrontiamo sono reali. Sono serie e sono molte. Non sarà possibile risolverle facilmente né in breve tempo. Ma sappi questo, America: le risolveremo. In questo giorno, ci riuniamo perché abbiamo scelto la speranza invece della paura, l’unità d’intenti invece del conflitto e della discordia.
In questo giorno, veniamo a proclamare la fine delle meschine divergenze e delle false promesse, delle recriminazioni e dei dogmi usurati che per troppo tempo hanno strangolato la nostra politica.

Rimaniamo una giovane nazione, ma nelle parole delle Scritture, è giunto il momento di mettere da parte le cose da bambino (NdT: Lettera Ai Corinzi, 13:11). E’ giunto il momento di riaffermare il nostro spirito; di scegliere la nostra storia migliore, di sostenere quel dono prezioso, quella nobile idea passata di generazione in generazione: la promessa divina che tutti sono uguali, tutti sono liberi, tutti meritano l’opportunità di perseguire la loro piena felicità.

Nel riaffermare la grandezza della nostra nazione, capiamo che la grandezza non va mai data per scontata. Bisogna guadagnarsela. Il nostro viaggio non è mai stato fatto di scorciatoie o di ribassi. Non è stato un sentiero per i deboli di cuore, per chi preferisce l’ozio al lavoro, o cerca solo i piaceri delle ricchezze e della celebrità. E’ stato invece il percorso di chi corre rischi, di chi agisce, di chi fabbrica: alcuni celebrato ma più spesso uomini e donne oscuri nelle loro fatiche, che ci hanno portato in cima a un percorso lungo e faticoso verso la prosperità e la libertà.

Per noi hanno messo in valigia le poche cose che possedevano e hanno traversato gli oceani alla ricerca di una nuova vita. Per noi hanno faticato nelle fabbriche e hanno colonizzato il West; hanno tollerato il morso della frusta e arato il duro terreno. Per noi hanno combattuto e sono morti in posti come Concord e Gettysburg, la Normandia e Khe Sahn.

Ancora e ancora questi uomini e queste donne hanno lottato e si sono sacrificati e hanno lavorato fino ad avere le mani in sangue, perché noi potessimo avere un futuro migliore. Vedevano l’America come più grande delle somme delle nostre ambizioni individuali, più grande di tutte le differenze di nascita o censo o partigianeria’. ‘Questo è il viaggio che continuiamo oggi.

Rimaniamo il paese più prosperoso e più potente della Terra. I nostri operai non sono meno produttivi di quando la crisi è cominciata. Le nostre menti non sono meno inventive, i nostri beni e servizi non meno necessari della settimana scorsa o del mese scorso o dell’anno scorso. Le nostre capacità rimangono intatte. Ma il nostro tempo di stare fermi, di proteggere interessi meschini e rimandare le decisioni sgradevoli, quel tempo di sicuro è passato. A partire da oggi, dobbiamo tirarci su, rimetterci in piedi e ricominciare il lavoro di rifare l’America.

Perché ovunque guardiamo, c’è lavoro da fare. Lo stato dell’economia richiede azioni coraggiose e rapide, e noi agiremo: non solo per creare nuovi lavori ma per gettare le fondamenta della crescita. Costruiremo le strade e i ponti, le reti elettriche, le linee digitali per nutrire il nostro commercio e legarci assieme. Ridaremo alla scienza il posto che le spetta di diritto e piegheremo le meraviglie della tecnologia per migliorare le cure sanitarie e abbassarne i costi. Metteremo le briglie al sole e ai venti e alla terra per rifornire le nostre vetture e alimentare le nostre fabbriche. E trasformeremo le nostre scuole e i college e le università per soddisfare le esigenze di una nuova era.

Tutto questo possiamo farlo. E tutto questo faremo. Ci sono alcuni che mettono in dubbio l’ampiezza delle nostre ambizioni, che suggeriscono che il nostro sistema non può tollerare troppi piani grandiosi. Hanno la memoria corta. Perché hanno dimenticato quanto questo paese ha già fatto: quanto uomini e donne libere possono ottenere quando l’immaginazione si unisce a uno scopo comune, la necessità al coraggio.

Quello che i cinici non riescono a capire è che il terreno si è mosso sotto i loro piedi, che i diverbi politici stantii che ci hanno consumato tanto a lungo non hanno più corso. La domanda che ci poniamo oggi non è se il nostro governo sia troppo grande o troppo piccolo, ma se funziona: se aiuta le famiglie a trovare lavori con stipendi decenti, cure che possono permettersi, una pensione dignitosa. Quando la risposta è sì, intendiamo andare avanti. Quando la risposta è no, i programmi saranno interrotti.

E quelli di noi che gestiscono i dollari pubblici saranno chiamati a renderne conto: a spendere saggiamente, a riformare le cattive abitudini, e fare il loro lavoro alla luce del solo, perché solo allora potremo restaurare la fiducia vitale fra un popolo e il suo governo’.

‘Né la domanda è se il mercato sia una forza per il bene o per il male. Il suo potere di generare ricchezza e aumentare la libertà non conosce paragoni, ma questa crisi ci ha ricordato che senza occhi vigili, il mercato può andare fuori controllo, e che un paese non può prosperare a lungo se favorisce solo i ricchi. Il successo della nostra economia non dipende solo dalle dimensioni del nostro prodotto interno lordo, ma dall’ampiezza della nostra prosperità, dalla nostra capacità di ampliare le opportunità a ogni cuore volonteroso, non per beneficenza ma perché è la via più sicura verso il bene comune.

Per quel che riguarda la nostra difesa comune, respingiamo come falsa la scelta tra la nostra sicurezza e i nostri ideali. I Padri Fondatori, di fronte a pericoli che facciamo fatica a immaginare, prepararono un Carta che garantisse il rispetto della legge e i diritti dell’uomo, una Carta ampliata con il sangue versato da generazioni. Quegli ideali illuminano ancora il mondo e non vi rinunceremo in nome del bisogno. E a tutte le persone e i governi che oggi ci guardano, dalle capitali più grandi al piccolo villaggio in cui nacque mio padre, dico: sappiate che l’America è amica di ogni nazione e di ogni uomo, donna e bambino che cerca un futuro di pace e dignità, e che siamo pronti di nuovo a fare da guida.

Ricordate che le generazioni passate sconfissero il fascismo e il comunismo non solo con i carri armati e i missili, ma con alleanze solide e convinzioni tenaci. Capirono che la nostra forza da sola non basta a proteggerci, né ci dà il diritto di fare come ci pare. Al contrario, seppero che il potere cresce quando se ne fa un uso prudente; che la nostra sicurezza promana dal fatto che la nostra causa giusta, dalla forza del nostro esempio, dalle qualità dell’umiltà e della moderazione.

Noi siamo i custodi di questa eredità. Guidati ancora una volta da questi principi, possiamo affrontare quelle nuove minacce che richiedono sforzi ancora maggiori - e ancora maggior cooperazione e comprensione fra le nazioni. Inizieremo a lasciare responsabilmente l’Iraq al suo popolo, e a forgiare una pace pagata a caro prezzo in Afghanistan. Insieme ai vecchi amici e agli ex nemici, lavoreremo senza sosta per diminuire la minaccia nucleare, e allontanare lo spettro di un pianeta surriscaldato.

Non chiederemo scusa per la nostra maniera di vivere, né esiteremo a difenderla, e a coloro che cercano di ottenere i loro scopi attraverso il terrore e il massacro di persone innocenti, diciamo che il nostro spirito è più forte e non potrà essere spezzato. Non riuscirete a sopravviverci, e vi sconfiggeremo.

Perché sappiamo che il nostro multiforme retaggio è una forza, non una debolezza: siamo un Paese di cristiani, musulmani, ebrei e indù - e di non credenti; scolpiti da ogni lingua e cultura, provenienti da ogni angolo della terra. E dal momento che abbiamo provato l’amaro calice della guerra civile e della segregazione razziale, per emergerne più forti e più uniti, non possiamo che credere che odii di lunga data un giorno scompariranno; che i confini delle tribù un giorno si dissolveranno; che mentre il mondo si va facendo più piccolo, la nostra comune umanità dovrà venire alla luce; e che l’America dovrà svolgere un suo ruolo nell’accogliere una nuova era di pace.

Al mondo islamico diciamo di voler cercare una nuova via di progresso, basato sull’interesse comune e sul reciproco rispetto. A quei dirigenti nel mondo che cercano di seminare la discordia, o di scaricare sull’Occidente la colpa dei mali delle loro società, diciamo: sappiate che il vostro popolo vi giudicherà in base a ciò che siete in grado di costruire, non di distruggere. A coloro che si aggrappano al potere grazie alla corruzione, all’inganno, alla repressione del dissenso, diciamo: sappiate che siete dalla parte sbagliata della Storia; ma che siamo disposti a tendere la mano se sarete disposti a sciogliere il pugno.

Ai popoli dei Paesi poveri, diciamo di volerci impegnare insieme a voi per far rendere le vostre fattorie e far scorrere acque pulita; per nutrire i corpi e le menti affamate. E a quei Paesi che come noi hanno la fortuna di godere di una relativa abbondanza, diciamo che non possiamo più permetterci di essere indifferenti verso la sofferenza fuori dai nostri confini; né possiamo consumare le risorse del pianeta senza pensare alle conseguenze. Perché il mondo è cambiato, e noi dobbiamo cambiare insieme al mondo.

Volgendo lo sguardo alla strada che si snoda davanti a noi, ricordiamo con umile gratitudine quei coraggiosi americani che in questo stesso momento pattugliano deserti e montagne lontane. Oggi hanno qualcosa da dirci, così come il sussurro che ci arriva lungo gli anni dagli eroi caduti che riposano ad Arlington: rendiamo loro onore non solo perché sono custodi della nostra libertà, ma perché rappresentano lo spirito di servizio, la volontà di trovare un significato in qualcosa che li trascende.

Eppure in questo momento - un momento che segnerà una generazione - è precisamente questo spirito che deve animarci tutti. Perché, per quanto il governo debba e possa fare, in definitiva sono la fede e la determinazione del popolo americano su cui questo Paese si appoggia. E’ la bontà di chi accoglie uno straniero quando le dighe si spezzano, l’altruismo degli operai che preferiscono lavorare meno che vedere un amico perdere il lavoro, a guidarci nelle nostre ore più scure. E’ il coraggio del pompiere che affronta una scala piena di fumo, ma anche la prontezza di un genitore a curare un bambino, che in ultima analisi decidono il nostro destino.

Le nostre sfide possono essere nuove, gli strumenti con cui le affrontiamo possono essere nuovi, ma i valori da cui dipende il nostro successo - il lavoro duro e l’onestà, il coraggio e il fair play, la tolleranza e la curiosità, la lealtà e il patriottismo - queste cose sono antiche. Queste cose sono vere.

Sono state la quieta forza del progresso in tutta la nostra storia. Quello che serve è un ritorno a queste verità. Quello che ci è richiesto adesso è una nuova era di responsabilità - un riconoscimento, da parte di ogni americano, che abbiamo doveri verso noi stessi, verso la nazione e il mondo, doveri che non accettiamo a malincuore ma piuttosto afferriamo con gioia, saldi nella nozione che non c’è nulla di più soddisfacente per lo spirito, di più caratteristico della nostra anima, che dare tutto a un compito difficile.

Questo è il prezzo e la promessa della cittadinanza. Questa è la fonte della nostra fiducia: la nozione che Dio ci chiama a forgiarci un destino incerto. Questo il significato della nostra libertà e del nostro credo: il motivo per cui uomini e donne e bambine di ogni razza e ogni fede possono unirsi in celebrazione attraverso questo splendido viale, e per cui un uomo il cui padre sessant’anni fa avrebbe potuto non essere servito al ristorante oggi può starvi davanti a pronunciare un giuramento sacro.

E allora segnamo questo giorno col ricordo di chi siamo e quanta strada abbiamo fatto. Nell’anno della nascita dell’America, nel più freddo dei mesi, un drappello di patrioti si affollava vicino a fuochi morenti sulle rive di un fiume gelato. La capitale era abbandonata. Il nemico avanzava, la neve era macchiata di sangue.

E nel momento in cui la nostra rivoluzione più era in dubbio, il padre della nostra nazione ordinò che queste parole fossero lette al popolo: ‘Che si dica al mondo futuro... Che nel profondo dell’inverno, quando nulla tranne la speranza e il coraggio potevano sopravvivere... Che la città e il paese, allarmati di fronte a un comune pericolo, vennero avanti a incontrarlo’.

America. Di fronte ai nostri comuni pericoli, in questo inverno delle nostre fatiche, ricordiamoci queste parole senza tempo. Con speranza e coraggio, affrontiamo una volta ancora le correnti gelide, e sopportiamo le tempeste che verranno. Che i figli dei nostri figli possano dire che quando fummo messi alla prova non ci tirammo indietro né inciampammo; e con gli occhi fissi sull’orizzonte e la grazia di Dio con noi, portammo avanti quel grande dono della libertà, e lo consegnammo intatto alle generazioni future’.

in English

21 gennaio 2009

Salatka - Polonia

Here I am, with my first participation to "Culinary Tour Around the World" by Joan, an interesting event she will carry on for several weeks zapping from nation to nation to catch different tastes in their kitchens, supporting BloggerAid.

This week her journey has stopped in Poland, Joan tells us something about this region in her post, I add that for me (and I think most of Italians) our first thaught about it goes to the immense fame of Pope Wojtyla.
I would have liked to make Packzy for this occasion, I was sure my kids would have devour them, but I didn't have much time to spend in kitchen in these last days and I had to change my dish. After reading some recipes (another interesting was about "Makowiec", a cake with poppy seeds, I think I will try sometime because I love those seeds) I decided to try this "Salatka".
In Italy we call it "Russian Salad", and it's mostly made very simple, with potatoes, carrots and peas mixed with mayonnaise.
In this Polish version more ingredients make it incredibly super!
I discover it at Daniela's, an italian girl who loves Poland and goes there regularly once a year to visit her friends. Thanks Dani!


You need:

2 carrots
2 potatoes
frozen peas*
4/5 pickled cucumbers
a piece of onion, not too much (it could cover other vegs' taste)
one apple, better a granny smith
3 hard boiled eggs
mayonnaise, better home-made
a little bit of mustard
salt/pepper

* I prefer frozen, but tinned peas are good as well (in that case don't boil them, only rinse)

Cut all vegs in small piecies (onion very finely), boil separately carrots, potatoes and peas in slightly salted water. Strain well and let them cool. Cut cucumbers, apple and eggs in small piecies, too. Put all in a bowl (peas at last), add salt and pepper, add mayo and a little pinch of mustard and mix carefully.

For "Salatka Sledziowa" add some sledz (smoked herring, cut in small piecies too), some cream and a litle bit of dill.

Smacznego!

Poland Round-Up

See you next Monday in Germany!



Finalmente riesco a postare la mia prima ricetta per la raccolta di Joan "Tour Culinario Intorno al Mondo", evento che supporta BloggerAid.
Questa settimana si visita la Polonia, come ci racconta Joan nel suo post.
Girando in rete ho trovato il sito di Daniela, romana amante della Polonia e della sua gente, ha molti amici laggiù e regolarmente li visita una volta l'anno. Daniela ha dedicato una piccola sezione alla cucina polacca, elencando alcune ricette tradizionali e popolari. Non sapevo quale scegliere: mi sarebbe piaciuto molto fare un dolce, il Makowiec, con semi di papavero che adoro (per altri servivano ingredienti difficilmente reperibili dalle mie parti) ma poi il tempo,come al solito, mi è stato tiranno e ho dovuto ripiegare su una cosa più semplice ma che ha avuto il vantaggio di istruirmi un pochino. Da ignorantona credevo che l'insalata russa fosse solo la classica a base di patate, carote e piselli che ci propinano nella maggior parte dei locali...e invece no! In Polonia quella che noi chiamiamo insalata russa viene definita semplicemente "salatka". Ne esistono diversi tipi ma la base è questa:

2 patate
2 carote
piselli surgelati*
4/5 cetrioli sott'aceto o in salamoia
cipolla (non molta altrimenti copre gli altri sapori)
una mela (ho messo una Granny Smith)
3 uova sode
maionese, meglio se fatta in casa
senape
sale/pepe

* io preferisco i surgelati, ma si possono usare anche quelli in scatola

Tagliare a dadini le patate e le carote e lessarle al dente in acqua leggermente salata. Lessare anche i piselli. Tagliare finemente la cipolla, a dadini i cetrioli, la mela sbucciata e le uova sode. Riunire tutto in una ciotola (i piselli andranno messi per ultimi), salare e pepare, aggiungere maionese quanto basta e una puntina di senape.

Nella versione "Salatka Sledziowa" si taglierà a dadini anche dell'aringa conservata (sledz), aggiungendo alla maionese della panna ed un po' d'aneto.

"A Culinary Tour Around the World"


Tour Culinario Intorno al Mondo

Il bello dei blog, o meglio della blogsfera, è che sai da dove parti ma non sai mai dove andrai a finire! Girando di qua e di la si fanno sempre nuove e piacevoli conoscenze, si scoprono nuovi usi e costumi, si impara sempre...e allegramente.
La settimana scorsa, in occasione del WHB # 166, ho conosciuto Rachel e il suo blog "The Crispy Cook".
Curiosando "a casa sua" ho scoperto questa bella iniziativa di Joan, "Culinary Tour Around the World", un tour culinario intorno al mondo. Ogni settimana Joan ci parlerà brevemente del paese che intende assaggiare, offrendoci una ricetta locale. Per mettersi alla prova coscienziosamente, prenderà in considerazione paesi e culture che difficilmente entrano nelle sue abitudini culinarie, in modo da approfondire mondi e cibi quasi sconosciuti.
Con quest'iniziativa Joan vuole unirsi a BloggerAid per aiutare a promuovere gli sforzi comuni per combattere la fame nel mondo. E ben sperare che la sensibilizzazione a questo problema porti ad interventi concreti più specifici: anche solo una gita virtuale in culture remote a noi potrebbero motivare i lettori a unirsi nella lotta contro la fame attraverso BloggerAid o World Food Programme o altre organizzazioni solidali.

La prima tappa è stata la Norvegia, questa settimana tocca alla Polonia.

Ogni lunedì verrà pubblicata la nuova destinazione: si andranno a visitare Germania, Francia, Portogallo, Romania, Etiopia, Russia, India, Mongolia, Filippine, Peru per poi tornare negli USA.
Joan chiede di unirci al suo progetto partecipando attivamente, inviandola nostra ricetta del paese scelto per la settimana seguendo poche semplici regole:

1. Copiare e incollare il logo "Stamp-out-world-hunger" sul proprio blog linkandolo a FOODalogue.
2. Postare la ricetta e linkarla a BloggerAid (non è necessario essere iscritti) e poi a Foodalogue.
3. Inoltrare una mail a Joan (info(at)foodaloque(dot)com) con l'avvenuta partecipazione, unendo una foto propria, una del piatto cucinato e il testo del post.


Cosa dite, ce lo facciamo un bel giro del mondo con lei?

19 gennaio 2009

Ieri pomeriggio a teatro...



Moby Dick
di Herman Melville
con Giorgio Albertazzi - Emiliano Broschi - Marco Cacciola - Timothy Martin
Giuseppe Papa - Fabio Pasquini - Annibale Pavone - Enrico Roccafort - Rosario Tedesco
regia di Antonio Latella

Il celeberrimo romanzo di Melville è il resoconto di una lunga caccia alla balena compiuta attorno al 1840 a bordo del Pequod, salpando dall’isola di Nantucket, la capitale americana della “baleneria” situata a 48 km a sud di Cape Cod nello stato del Massachusetts. Il Pequod è comandato dal capitano Achab, un personaggio che assume connotati epici nella lotta contro Moby Dick, una combattiva e feroce balena bianca che in realtà è un capodoglio. Per tre lunghi anni Achab – “roso di dentro e arso di fuori dagli artigli fissi e inesorabili di un’idea incurabile” come scrive Melville – trascina l’intero equipaggio in una folle impresa di caccia alla guida di una nave che il vecchio capitano Peleg aveva adornato di trofei facendone, sono sempre parole di Melville, “un veliero cannibale che si ornava delle ossa cesellate dei suoi nemici”. Nel romanzo di Melville la vicenda è raccontata da Ismaele, un personaggio che aveva conosciuto Peleg e a sua volta, grazie a lui, il vecchio marinaio Bildad che l’aveva fatto entrare nell’equipaggio del Pequod.

Dall'Arena del 13 gennaio 2009:
Da quando, nel 1851, Melville diede alle stampe questo testo si sono scritte pagine e pagine, inizialmente molto critiche, sulla vicenda del capitano Achab e della sua folle lotta contro la balena bianca che lui insegue rabbiosamente per un intero decennio trascinando tutto l’equipaggio della baleniera Pequod in un’impresa disperata, carica d’odio e di morte. L’unico a sopravvivere sarà il giovane marinaio Ismaele (interpretato da Rosario Tedesco) a cui è affidato, nel romanzo di Melville, il compito di narrare la drammatica storia. Dopo il debutto a Spoleto, al Festival dei Due Mondi nell’estate del 2007, lo spettacolo ha girato con successo i principali teatri italiani ed è stato in cartellone per un’intera settimana all’Odeon di Parigi. Il successo dell’allestimento è in gran parte legato all’interpretazione di Albertazzi che, nei panni del vecchio e ormai morente protagonista, fornisce al suo personaggio le stigmate di un tormento profondo, autentico quanto interiorizzato e quasi intimo. La regia di Antonio Latella gioca molto sul carisma di Albertazzi, da molti critici definito «l’ultimo grande mattatore della scena italiana» che si trascina a fatica su una nave animata solo di fantasmi, si racconta a Ismaele affinché il giovane marinaio riferisca la storia ai posteri. «Chi sceglie il mare», dice Latella, «sceglie le leggi della natura e non dei cittadini. Chi sceglie il mare, sceglie di non camminare; sul mare non si cammina. È lui che ci conduce, che ci culla, ci sconquassa, che ci innalza verso il cielo, ci sprofonda verso gli abissi. Sono le acque a decidere di noi». Rispetto alla "storica" versione cinematografica del 1956 firmata John Huston con Gregory Peck nei panni di Achab e Richard Basehart in quelli di Ismaele, questo Moby Dick teatrale guarda più intensamente agli aspetti umani e interiori dell’opera nell’interpretare le grandi metafore esistenziali che hanno ispirato Melville.

"Moby Dick", un viaggio verso l'ignoto
Singolare e non privo di eccessi l'allestimento firmato da Latella. Giorgio Albertazzi è un intenso Achab. Buona prova della compagnia.
«Mutilerò il mio mutilatore». No, sbaglia la sua profezia Achab, indomito capitano coraggioso, che da quarant’anni dà la caccia alle balene e che di una di esse, la più feroce, la più imponente, ha fatto non solo un acerrimo nemico al quale ha già sacrificato parte di una gamba ma anche e soprattutto un’ossessione, un indefesso rovello interiore. A tal punto Moby Dick ha preso possesso di lui da diventarne una sorta di alter ego o comunque un essere con il quale la sfida resta perennemente aperta sino a un’inevitabile resa finale. Ma quale dei due cederà all’altro? La fine è nota.
Del capolavoro di Hermann Melville poco resta nel singolare e fortemente simbolico allestimento (accolto al suo debutto al Nuovo da calorosi applausi) firmato Antonio Latella; né, conoscendo l’indole del regista, poteva essere altrimenti. La sua personalità lascia una traccia netta in uno spettacolo che, pur non privo di elementi di innegabile suggestione, risulta in qualche modo appesantito da una cifra stilistica in cui la bizzarria e l’estro si sposano alla poesia con esiti non sempre felici e soprattutto immediati.
Dare a una messinscena una chiara connotazione risulta interessante se sull’autore dal quale si parte non finisca per prevalere colui che lo rielabora. Cosa che invece accade in questo Moby Dick che ha in Giorgio Albertazzi un intenso protagonista, circondato da una compagnia che si nuove con discreto agio.
In una scenografia che, nella sua raffinata semplicità, conserva un che di maestoso, si muovono due mondi: quello degli ufficiali e dei marinai in severe uniformi bianco-nere e quello collocato su un piano sovrastante, del capitano Achab, da tempo immemore, sordo a qualunque richiamo vitale e invece dilaniato da un unico tormento: il desiderio incessante di catturare e dominare la balena bianca, quella creatura "oscura" di misteri, gravida di energia, quel mostro che rappresenta l’oltre, il dopo, il non conosciuto, il non esplorato: ciò che l’uomo immagina sia, ma non ha la certezza che sia.
Ecco, allora che in questa sorta di viaggio al termine della notte, ciò che spinge il testardo nocchiero è il dubbio e insieme la necessità di penetrare in soglie mai varcate, di spingersi al di là degli umani limiti. Tale e tanto è il suo desiderio da riuscire a trasfonderlo nell’animo del suo equipaggio e a consegnarlo immutato a colui che dovrebbe essere il suo "erede" o comunque colui che narrerà al mondo questa storia: Ismaele. Il ripiegamento interiore di Achab non si nutre solo della materia-base fornita da Melville ma, nella rielaborazione drammaturgica di Federico Bellini, trova ulteriore linfa in citazioni tratte da Dante e Shakespeare, segnatamente da Amleto.
In uno spettacolo che non convince del tutto ci sono, come si diceva, alcuni elementi di indubbia potenza. La scena in cui si racconta la prima caccia, fallita, alla balena ha una scansione pressoché perfetta con quei marinai impegnati allo spasimo, ciascuno in un compito specifico e tutti come divorati da una febbre che li rende quasi ebbri. C’è poi il momento in cui l’assenza delle parole e il ricorso al linguaggio dei segni (quello utilizzato dai sordomuti) sommerge tutto e tutti e rappresenta in modo perentorio e acuto insieme l’idea del silenzio del mondo, il silenzio della vita e dei suoni, inevitabile esito della fatale caccia alla balena bianca.
Albertazzi dà ad Achab tutta la stanchezza, la rassegnazione, il ripiegamento interiore di un uomo che sa, e desidera, consegnarsi alla scelta ultima, del non ritorno. I suoi ufficiali e marinai si muovono in armonia tra loro costruendo un buon affresco corale sottolineato anche dalle musiche (di Franco Visioli) che rendono il sapore dell’avventura-sfida. L’Ismaele di Rosario Tedesco appare discontinuo non riuscendo sempre a dare al suo personaggio il pathos di cui avrebbe bisogno.

di Betty Zanotelli - L'Arena del 15 gennaio 2009

Non sono una critica teatrale, nè tantomeno vado alla ricerca del pelo nell'uovo.
Ma a me e Tito (ho portato pure lui stavolta a teatro) questo Moby Dick nell'insieme è piaciuto. Sono due ore di spettacolo senza intervallo che scorrono intensamente, sia nell'intrepida emozione dell'avvistamento della balena (resa più viva e reale dallo sciabordio delle acque, dagli stantuffi della balena, dai canti e dalle grida dei marinai) sia nel silenzio ovattato delle geste mimate dai marinai stessi e nei monologhi del capitano, ormai allo stremo delle sue forze ma ancora perdutamente e cocciutamente animato da quella che è stata sempre la sua ragione, o meglio, la sua ossessione di vita.
Impareggiabile come sempreAlbertazzi, anche Tito ne è rimasto incantato, mi è spiaciuto l'aver perso giovedì pomeriggio il suo incontro in platea col pubblico (anni fa portai Max che ne rimase quasi stordito solo a sentirgli raccontare stralci della sua vita di artista), sicuramente ci avrebbe arricchito interiormente.
E il capitano conclude poi amaramente citando il più grande dei dubbi esistenziali che l'uomo rincorre da sempre: essere o non essere?


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